… Ci sono artisti cui piace inventare l'«evidente», le verità lapalissiane, e, ancor meglio, ci sono coloro che portano ciò che per nessuno è evidente dalla parte in cui lo può «diventare». Io non confondo il vero e il reale:
L'arte esiste realmente, ma non è più vera, mentre le «verità» di D'AURIA non sono solamente reali, ma anche vere: la verità indica un nuovo modo di accostarsi alla realtà, non più inteso come una limitazione in rapporto alla sfera del pensiero individuale, ma come una parte essenziale di esso, come perno intorno a cui il pensiero di un'artista può esercitare un'azione sul mondo dell'arte: il tentativo di saldare un debito con la storia dell'uomo. Non è certamente presunzione, affermare che GIUSEPPE D'AURIA pur rivelando l'urgenza della trasformazione, non sfugge questo mondo, non gli volta le spalle, lo vede, lo fa vedere, e ci obbliga a guardarlo come qualcosa che bisogna «presentare» e non «rappresentare» l'amore della nuova vita. Egli, spinto da una passione più forte dell'egoismo lancia e lascia il suo messaggio come rinnovamento delle sensazioni e non come una fuga edonistica dal mondo delle cose e della vita corrente. Quindi, impossibile evitarlo, dimenticarlo, senza nello stesso tempo prendere coscienza che si sta evitando e dimenticando una parte del mondo.
Nella prospettiva definita dalla produzione di opere d'arte mai nulla di efficace verrà fatto senza tener conto di questa distanza, e senza prendere coscienza della necessità, che tutti più o meno oscuramente sentiamo, di far coincidere gli atti con le parole, le idee con gli avvenimenti. Da questa parte GIUSEPPE D'AIJRIA apre la porta, ricca di promesse, di bellezze, di profezie al futuro immediato, chiave di tutti i futuri.
Che lo si voglia o meno, GIUSEPPE D'AURIA si colloca nella prospettiva storica dell'arte contemporanea italiana (e non solo italiana) definita dai pensatori e dai creatori «nuova generazione», dalla quale si è potuto incominciare a concepire l'attività artistica e intellettuale come una volontà della mente.

P. O. Giusti 1988